Una distesa di neve, ammantata di luce, su cui scivolare leggeri e senza pensieri, come angeli in volo. “Il paradiso deve essere così” aveva pensato Augusto mentre, per la prima volta, scendeva il pendio innevato con gli sci ai piedi. Il soffice candore della neve, l’abbraccio caldo del sole e un orizzonte che sconfina in sfumature azzurre sempre più intense. E l’aria tersa come il cristallo a rinvigorire lo spirito, e il silenzio dominante di Dio a celebrare la maestosità del cielo. Da lassù, Augusto si sentiva in pace con se stesso, come mai gli era capitato. Il mondo era un luogo bellissimo, in quel momento. Incorniciava il suo sguardo di stupore, infondendo nel suo cuore un desiderio di struggente bellezza. Sarebbe ritornata nei suoi ricordi quell’immagine, simile ad un miraggio perduto nel deserto, soprattutto dopo il suo ritorno a Serra San Quirico, una volta scoppiata la guerra.

Il giovane Augusto Chiorri, per quei tempi, era da considerarsi un privilegiato. Aveva potuto studiare da interprete, viaggiare all’estero, e conoscere parte di quel mondo che, da quando era tornato nel suo paese natio, stava combattendo la seconda guerra mondiale. Ma imparare altre lingue e aver frequentato altri luoghi non lo avevano aiutato a comprendere del tutto l’animo umano e dare un senso a quello che stava accadendo. Non era il solo, a dire il vero. Dopo l’8 settembre 1943 l’intera nazione era rimasta vittima di una tragica confusione di ordini mai dati e ricevuti, e aveva disperso gran parte dell’esercito assistendo inerte all’inizio di una nuova guerra, ancora più cruenta, combattuta sul territorio. La popolazione non aveva finito di festeggiare l’armistizio firmato da Badoglio,  che già i tedeschi, furiosi per il tradimento degli alleati italiani, stavano perpetrando le prime rappresaglie.

L’Italia era spezzata a metà: I nazifascisti dalla parte del Duce e della Germania di Hitler e dall’altra chi si opponeva al Fascismo e all’occupazione tedesca e sperava nella Liberazione degli angloamericani. Nel borgo di Serra San Quirico, roccaforte tedesca già dai primi mesi del 1944, non si capiva bene quello che stesse succedendo nel resto del paese per via dei collegamenti esterni sempre più rari e compromessi. Si subivano quotidianamente le angherie dei soldati tedeschi e dei fascisti, ma si cercava comunque di continuare la vita di sempre: il lavoro nei campi, nelle botteghe, le lezioni a scuola, le processioni in chiesa. Giunto a Serra San Quirico, il comandante, tenente Pascken, si era presentato nella chiesa di San Quirico e, una volta ammirate le volte del soffitto e i preziosi dipinti, aveva chiesto di vedere da vicino la celebre reliquia che vi era conservata e venerata da secoli: la Sacra Spina.

Il parroco, Don Armando Cruciani, la teneva nascosta da giorni, ma l’aveva ritirata fuori appena saputo che il comandante voleva visitare la chiesa. Certo non avrebbe mai immaginato di destare in quell’uomo una tale reazione! Il comandante volle più volte baciare l’ostensorio contenente la reliquia e, farfugliando qualche parola di italiano, disse che gli sarebbe piaciuto conoscerne a fondo la storia. Era di fede protestante (e lo sarebbe per sempre rimasto, come aveva promesso al padre morente), ma sua moglie e sua figlia erano cattoliche e gli sarebbe piaciuto portare loro una medaglia votiva e una corona come ricordo. Il parroco allora pensò che l’unico che poteva raccontargli la storia della Sacra Spina era Augusto Chiorri, l’interprete, che parlava perfettamente il tedesco e abitava nel paese. Lo fece chiamare e, poco dopo, Augusto raggiunse la chiesa di San Quirico.

Quando Augusto, scortato da un soldato tedesco, entrò nella chiesa di San Quirico, sembrava tranquillo. Il comandante Pascken lo stava attendendo di fronte all’altare, accanto al parroco.  Sulla cinquantina e di bell’aspetto, il comandante era un uomo che metteva chiunque a proprio agio. Si mostrava sempre sorridente e gentile con tutti, e possedeva uno sguardo limpido. Il comandante strinse le mani in preghiera e con voce bassa mormorò: “È doloroso vedere la luce e restare nelle tenebre”; poi
si voltò verso Augusto con uno sguardo cupo, colmo di angoscia. Tanto che il giovane ne rimase impressionato, come se si trovasse di fronte ad un fantasma di pietra.

Sentì allora una morsa stringergli di paura il cuore, che cominciò a battere forte. Quello stesso batticuore che l’aveva colto nel momento in cui il soldato tedesco, poche ore prima, aveva bussato con insistenza alla porta della sua casa dicendogli che doveva seguirlo per ordine del comandante.

“Dio mio!” aveva pensato in un primo momento “avranno scoperto che collaboro con i partigiani grazie alla mia conoscenza del tedesco? Vorranno interrogarmi?”. Domande e paure che lo tormentavano da mesi, ma che per nulla avevano fermato la sua collaborazione con i partigiani. Da abile interprete qual era, alcuni soldati tedeschi gli affidavano traduzioni. Piani militari e prossime mosse da operare in zona, di cui lui informava immediatamente i suoi compagni combattenti.

Ritrovarsi davanti a Pascken e raccontargli la storia della Sacra Spina lo avevano subito tranquillizzato, ma in quel momento l’ombra di un oscuro presentimento era calata sopra di loro, costringendoli al silenzio. Persino il parroco lo notò. Abbassò il capo, pensando che il comandante stesse pregando fra se e sé. Ma il comandante non stava pregando. Fissava Augusto, come se stesse scoprendo, per
la prima volta, qualcosa di terribile nei suoi occhi. Un’immagine di crudeltà e di morte, come lo era la visione della spina, e che coinvolgeva lui stesso. Un lungo sguardo rimase sospeso fra il comandante e Augusto, simile ad un grido trattenuto in gola, nel silenzio solenne di un luogo consacrato fra cielo e terra. Un silenzio che venne interrotto dal parroco, il quale ricordò al comandante che la sera stessa era in programma una processione con la Sacra Spina. La processione avrebbe attraversato le vie del paese fino al Borgo Stazione, come mai era accaduto prima. Il comandante assicurò che non ci sarebbero stati incidenti e che tutto si sarebbe svolto nel  massimo rispetto della funzione.

E così fu: alla processione partecipò tutto il popolo, persino alcuni “patrioti” in abito borghese e la truppa tedesca al completo. Alla processione partecipò anche Augusto e quella fu l’ultima volta che vide la Sacra Spina. Nel giro di pochi mesi le cose andarono peggiorando e persino la chiesa finì di essere quel luogo neutrale che ci si poteva immaginare. Più volte accadde che i fascisti, con i fucili spianati, negassero l’ingresso ai fedeli nell’ora della messa, suscitando la riprovazione del parroco e della popolazione. Una vecchietta, vedendosi puntare contro un fucile proprio davanti al portale, morì in seguito ad una paralisi causata dalla paura. Inoltre non mancavano le perquisizioni all’interno dell’edificio sacro alla ricerca dei “banditi”, i quali, avvertiti per tempo da Don Armando, riuscivano a fuggire, ancora una volta…

Ad Augusto, purtroppo, non riuscì di fuggire. Un soldato tedesco, fatto prigioniero dai partigiani nella casa di “Sorce”, sul monte Murano, lo vide parlare con i “traditori”. Riuscì a scappare e, durante un rastrellamento in paese, riconobbe il suo volto insieme a quello di altri partigiani, subito catturati dai tedeschi. La colpa di Augusto non era solo quella di aver “tradito la causa tedesca”, ma
anche di essere “ebreo”. In realtà, Augusto era cattolico. Per dimostrarlo, il parroco Don Armando si dichiarò pronto a procurare al tenente Keisman – che aveva sostituito Pascken – i documenti relativi al battesimo e al matrimonio celebrati in chiesa. Ma il tenente non volle sapere ragioni. Assegnato da pochi giorni al presidio militare di Serra San Quirico, Keisman era un ragazzo di 19 anni, alto, bruno, con gli occhi chiari e “l’animo cattivo come una jena”, come riferì Don Armando. Vestiva con pantaloncini corti e canottiera e passava il tempo a fumare sigarette e a mangiare caramelle, seduto a cavalcioni su una poltrona “Frau” nell’appartamento più bello sequestrato alla famiglia Manci, che aveva occupato insieme alla sua guardia del corpo.

Don Armando, sotto il sole cocente di quella drammatica mattina di luglio, tentò di “ammansire la belva”, parlando di Augusto Chiorri come di un cittadino esemplare, sempre pronto a collaborare per il bene del paese. Parlò ininterrottamente per due ore, fino mezzogiorno, quando il tenente, visibilmente irritato, andò a telefonare per vedere di “rimediare”. Alle ore 14, tornando da Moie di Maiolati – dove aveva in custodia i partigiani prigionieri – disse al parroco che Augusto Chiorri era stato fucilato. Durante i lunghi giorni di detenzione e malgrado le atroci torture e sevizie subite, Augusto si era sempre rifiutato di rivelare i nomi dei suoi compagni.

Fu ucciso per primo e, al momento della morte, gli venne persino negata la presenza di un sacerdote, perché ritenuto un “traditore ebreo”.

Poco prima di morire, però, gli era tornata alla memoria l’immagine della Sacra Spina e il ricordo di quando, anni addietro, aveva per la prima volta sciato in montagna. Due ricordi così diversi fra loro! La miracolosa spina sanguinante che riassumeva tutto il dolore del mondo, compreso il suo – prossimo alla morte – e il candore immacolato della neve che, scintillando sotto il sole, lo aveva quasi accecato per tanta bellezza! “Sì, il paradiso deve essere così”, si era detto Augusto, ripensando a quel panorama meraviglioso che gli sembrava quasi di rivedere, proprio lì, in mezzo al campo, attraverso gli occhi tremuli di lacrime…mentre i soldati caricavano i fucili e la voce del tenente si faceva più sprezzante.

Passato mezzogiorno, la triste data del 12 luglio 1944 sarebbe rimasta scolpita per sempre nella memoria di tutti. Ma, in quel momento, Augusto sentiva solo il silenzio intorno a sé. Non c’erano più parole da dire. Non c’erano più ombre da temere. Solo la luce del sole, nei suoi occhi e nella sua anima – in
procinto di volare via – e infine la sofferta pesantezza del suo corpo trafitto dai proiettili e riverso sopra una terra sanguinante di spine.

Luisa Ferretti

Nelle foto: L’antologia “Prima che mi dimentichi di te” dove è pubblicato il racconto, con accanto il ricordino di Augusto Chiorri donato all’ANPI; la Sacra Spina venerata a Serra San Quirico e Augusto sugli sci, ad Abetone nel 1936. 

“Augusto nel buio della lotta”
Tag:             

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *