Il “messo celeste” del IX Canto dell’Inferno

Una scena che io amo molto della Divina Commedia di Dante Alighieri è quando nel IX Canto dell’Inferno appare il “messo celeste”. Dante e Virgilio si trovano nel girone degli eretici e devono entrare nella città di Dite, ma il passaggio è sbarrato da un’orda inferocita di demoni e dannati. Un agghiacciante esercito del male che terrorizza Dante! Arrivano persino le Tre Furie e Medusa che, come sappiamo, può trasformare in pietra chi la guarda; Virgilio copre gli occhi di Dante per impedirgli di guardarla e tenta persino un dialogo con i demoni, ma è impossibile.

A questo punto, giunge dal Paradiso un “messo celeste”. Non si sa bene chi sia; forse un arcangelo (alcuni dicono Michele, il principe delle milizie celesti) che è inviato da Dio per permettere ai due poeti di proseguire nel loro viaggio. Il suo arrivo è annunciato da un grande frastuono e un vento impetuoso; il messo celeste giunge in quell’orribile pantano e alla sua vista tutti quei demoni e dannati si dileguano in istante!. La sua sola presenza annienta ogni forza malefica. E gli basta agitare una “verghetta” perchè la porta di Dite si spalanchi al cospetto di Dante e Virgilio. Poi l’angelo ha un’aria proprio infastidita, sgrida i demoni per la loro tracotanza, ma questi sono già spariti, vigliaccamente.

Questa scena mi fa pensare due cose: malgrado la razionalità umana, rappresentata da Virgilio che tenta di convincere i demoni, è fondamentale la Grazia Divina per affrontare e vincere il Male (senza l’intervento del messo celeste Virgilio e Dante non avrebbero potuto andare oltre) e soprattutto che il Bene è oltremodo più potente del Male; i demoni fanno paura, ma alla fine di fronte alla forza della Luce spariscono come “rane innanzi a la nimica biscia”.

Nella foto: Il messo celeste raffigurato da Gustave Dorè 

Letters to be burned

Il 3 luglio 1883 nasceva a Praga il geniale scrittore boemo Franz Kafka. Oggi sento di accostarlo ad Emily Dickinson...e non sono la prima a farlo! Entrambi erano grandi letterati, dalle menti illuminate, distanti negli anni, ma vicini come sensibilità. Estrema sensibilità!

La straordinaria poetessa, reclusa a vita nella casa paterna, sapeva tradurre in versi le suggestioni evocate dal ronzio di un’ape e sondare i misteri dell’animo umano con uno stile poetico assolutamente innovativo.

Kafka lo scrittore insonne, tormentato, scriveva di notte “quando aveva più paura” e sapeva analizzare con angosciosa lucidità i propri conflitti interiori, familiari, e tutta l’inadeguatezza verso una società malata.

Cosa avevano in comune? Entrambi, prima di morire, espressero il desiderio che tutti i loro scritti fossero bruciati…Dunque perduti, per sempre!

Fortunatamente sia Lavinia (Vinnie) la sorella di Emily, che Max Brod, amico di Kafka, non rispettarono la volontà dei due grandi letterati. E l’Umanità, a distanza di anni, ancora li ringrazia per questo!

Tempo fa è stata allestita in America una mostra dedicata alla Dickinson e a Kafka accomunati proprio da questo ultimo desiderio…Letters to be burned!