Ora lo so. Quella notte del 16 Luglio 1989 le stelle, nel mio cielo, esistevano.
Tutte quante.

Magari qualcuna sonnecchiava pensando: “La solita eclisse di Luna”, ma le altre vigilavano sul mondo sgranando fra le dite del cielo identità di fuoco indebolite da una lontananza millenaria. Fuori, sul balcone di casa, dopo essere stati svegliati dalla mamma, Arianna, Damiano e la loro cugina Lara si accoccolarono sulla sdraio, insieme a Samuele, che con indosso il pigiama li aveva raggiunti da casa sua chiudendo senza pensarci la porta alle sue spalle.

Quella del cielo, di porta, invece era aperta e apriva lo sguardo a milioni di stelle che, senza temere di cadere di sotto, si contraevano l’una accanto all’altra simili a pupille di occhi risvegliati da un desiderio millenario. A due passi dal tetto Sirio inseguiva Orione, scintillando luce e intravedendo da lontano il graduale incupirsi della luna che sembrava, infine, essere scomparsa…..

….fin quando non riapparve.

Dentro casa, dopo che la sfera lunare si era rivestita di luce lasciandosi addosso solo una strisciolina informe di oscurità, la nonna, zittendo quei gridolini di eccitazione che avevano scandito le fasi dell’eclisse, portò i ragazzini in soffitta, per raccoglierli davanti ad una finestrella che gettava lo sguardo sulla campagna illanguidita nell’incoerenza della prima ora del mattino. Arianna, Damiano, Lara e Samuele si sedettero sotto la finestrella, rigirando fra le mani le tazze di latte caldo preparate dalla mamma che nel frattempo era andata a dormire. La nonna, divertita dai loro occhi spalancati di limpida meraviglia, cominciò a parlare cercando di aprire ancor di più la finestrella della soffitta. Che ogni tanto si chiudeva.

Raccontò loro di ricordi di quand’era bambina e mentre parlava con la sua voce carezzevole, quell’ora azzurrognola, quasi incolore, invece di scurirsi ritornando a chiudersi nel buio della notte ormai trascorsa, si andò mano a mano arrossendo nell’incedere luminoso di quel sole che apparve – laggiù – come un’ostia insanguinata. Spezzata in due dalla linea dell’orizzonte. Un sole che, posto al centro di quell’eterno risucchio dalle dorate onde rossastre sfumate nel buio, scolorite nella luce, alla fine sgusciò fuori. Un cerchio perfetto. Un cerchio senza sbavature, e gravido di un infinito che viene ridisegnato ogni giorno da una mano ferma. Senza paura.

E la chiave di quel ritorno visibile del Sole era stata la notte. La notte della nostra Luna che aveva subìto, in pochi minuti, senza neanche riprendere fiato, quell’imprevedibile alternarsi di luce – buio – – luce inscenato dall’ignara Terra alle sue spalle e normalmente consumate nel giro di un mese dalle altre lune. Ma la nostra Luna era speciale proprio perché diversa dalle altre. Unica.

E tutto in quel momento di rinnovamento, di bellezza allo stato puro, aveva un significato e la nonna, senza stancarsi, continuò a raccontare storie passate, come se fossero davanti ad un focolare domestico che, incredibile a dirsi, qualcuno riaccende alle nostre spalle ogni giorno. Senza un perché. O forse con un perché. Un perché che, se lo ascoltassimo, avrebbe un suono leggero. Trasparente. Un perché di poche lettere. E di mille verità. Senza un volto ancora. Ma in qualche modo visibile.
Come il pensiero scemo di “Dio”.

(brano tratto dal mio romanzo “Il filo di Arianna” )

Compassio divina
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