Siamo soli.
La vita è solo sulla Terra.
E per poco ancora…

Melancholia, il bellissimo pianeta azzurro che gravita attorno alla terra, altro non è, in questo superbo film, che l’immagine metaforica della depressione. Una malattia dell’anima, autodistruttiva, che rende l’essere umano l’ombra di se stesso.

Come un pianeta “assassino”, la Malinconia sorge e tramonta dentro di noi, indifferente, implacabile, risucchiandoci persino l’aria. Ma ne siamo  mortalmente attratti. Ad essa ci abbandoniamo, crogiolandoci nudi davanti a quella sua luce fredda che spazia nelle nostre tenebre. Fa parte della nostra orbita. La parte oscura di noi. Si allontana. Si avvicina. E  non c’è posto dove nascondersi, se non la “grotta magica” di un’infanzia perduta che sembra quasi stemperare di dolcezza anche la più drammatica delle finali.

Una rappresentazione magistrale della depressione che è angoscia insanabile, intorpidimento mentale e fisico, attesa della fine, desiderio di morte ….ma anche lacerante  nostalgia per ciò che è stato e  non è più; e per ciò che poteva essere e non sarà mai. Un tormento silenzioso, costante,  che ti rende incapace di sollevare lo sguardo oltre te stesso e ti occlude la vista su ogni cielo possibile. E’ la fine del mondo.

Ho letto che sia Lars Von Trier, il regista del film, sia Kirsten Dunst, la bravissima protagonista, ne hanno sofferto. E anche in questo sta la forza del film. Chi ne parla, chi la rappresenta, sa di cosa si tratta…e sa comunicarcela, con straordinaria, inquietante, efficacia. Un film capolavoro, con immagini evocative, tragiche e splendenti, che rendono omaggio all’arte pittorica, alla musica…da vedere.

“Melancholia”
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