Sasso di Serra San Quirico (AN) – Luglio 1944

Quel mercoledì di luglio il caldo afoso annebbiava le menti. Il sole picchiava fin dalle prime ore del mattino tanto che a noi ragazzini non andava neanche di giocare in piazza, come facevamo di solito. Decidemmo allora di andare a fare il bagno nelle vasche del lavatoio (detto “ciampà”) alle Ville. Facemmo una corsa e ci tuffammo in acqua, felici di quella piacevole frescura.

Ad un certo punto, però, udimmo degli spari. Secchi e ripetuti. Mio cugino, Albino Della Bella, chiese subito ad un agricoltore del posto, Angelo Albani, cosa stesse accadendo.

“State tranquilli, monelli – rispose lui, sorridendo – non sono spari, ma botti di gelatina con cui qualcuno sta spaccando la legna”. Continuammo quindi a sguazzare nell’acqua e a giocare spensierati, mentre faceva sempre più caldo.

Dopo circa un’ora, vedemmo tante persone, tra cui i nostri familiari, provenire a piedi da Sasso. Portavano con loro indumenti e coperte. Appena ci videro, ci vennero incontro per raccontarci, in modo molto concitato, quanto era successo. Erano fuggiti in preda al panico perché i tedeschi si apprestavano a incendiare tutte le case del paese e a fucilare alcuni ostaggi. Una rappresaglia ordita per rivendicare il ferimento di un soldato tedesco da parte di alcuni partigiani: uno di questi abitava proprio a Sasso.

Una volta ferito il tedesco, che era a bordo di una motocarrozzetta, i partigiani erano però fuggiti, spaventati dalla reazione violenta dell’altro soldato tedesco che era la guida, mentre le donne del paese erano subito accorse per prestare le prime cure al ferito steso per terra.

“Avrebbero dovuto catturarli entrambi! I tedeschi non perdonano! Sarà la fine di Sasso!”, commentò con sgomento uno dei nostri paesani in fuga, raccontando che nel frattempo il soldato rimasto illeso aveva avvertito altri soldati, appartenenti alle famigerate SS. Gli ufficiali delle SS decisero di dare fuoco al paese e di fucilare dieci persone già catturate, tra cui Giuseppe Ferretti e Federico Paglioni. Venne catturato anche il parroco, Don Guido Minnucci, che offrì la sua vita in cambio degli ostaggi, tutti giovani padri di famiglia.

Le SS lo misero accanto agli altri condannati a morte, senza dare alcun peso all’eroico gesto con cui aveva tentato inutilmente di salvare la vita ai suoi compaesani. Il carburante per dar fuoco alle case era pronto. Il paese era sull’orlo di un abisso di morte e distruzione, l’aria era sempre più irrespirabile dall’afa e ogni secondo che passava stringeva i cuori in una morsa di terrore, quando, improvvisamente e senza alcuna spiegazione, gli ufficiali tedeschi desistettero dai loro tragici propositi.

Gli ostaggi furono liberati, compreso il parroco, e il paese venne risparmiato da quella che sembrava una fine già scritta. Quello che sapemmo in seguito è che il tedesco ferito, prima di essere trasportato in ospedale (dove sarebbe morto tempo dopo), aveva pregato i suoi superiori di non fare alcun male al paese e ai suoi abitanti.

Era rimasto toccato dalla sensibilità delle donne del paese e dal medico Meloni che lo aveva preso in cura mentre versava in gravissime condizioni. Inoltre, un ingegnere sfollato a Sasso, insegnante presso le scuole elementari e ottimo conoscitore del tedesco, era riuscito a dialogare con le SS e a farle ragionare.

Nel giro di poche ore si passò dalla totale disperazione alla gioia più autentica! Insieme ai nostri familiari e compaesani, facemmo dunque ritorno alle nostre case, grati al Cielo per averci risparmiato un giorno di indescrivibile dolore.

Questa drammatica esperienza ci ha fatto conoscere e apprezzare la grande solidarietà del paese delle Ville, che ci accolse come profughi di guerra, fortunatamente per poco tempo. E ci ha fatto capire che, anche nei momenti più difficili, non esiste per l’umanità nessuna fine già scritta: persino i cuori più duri si possono sciogliere come neve in una giornata di sole e i ruoli di vittima e carnefice non sono mai per sempre.

Dalla testimonianza di mio padre Antonio Ferretti, bambino in tempo di guerra.

Il racconto è contenuto nel nell’antologia  “Prima che mi dimentichi di te” 

Il giorno più lungo
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